Notarella di quasi Primavera (di favole, letteratura, poesia, e guerra, perdite, amore...)

19 Marzo 2024

Notarella di quasi Primavera

Penso che di nuovo è Primavera e che il suo arrivo ha però perso ogni simbologia di rinnovamento e rinascita. Siamo in un momento così grave che molte di noi (e anche molti) sprofondiamo nell’angoscia o scaviamo buche per seppellire ogni consapevolezza, ogni riflessione, perché sarebbe troppo amara la conseguenza che ne deriverebbe. Abbiamo perso. Chest’è!

Ma cosa abbiamo perso?

Parlo per me. Ho perso la comunità che mi faceva forte e felice, che mi faceva ritenere possibile un mondo più giusto e gentile. Ho perso la gioia di ritrovarmi a discutere e chiacchierare con amiche e amici, porte aperte per chiunque volesse unirsi a noi, curiosità nei suoi confronti. E preciso: non ho perso quelle presenze e quelle situazioni perché ora purtroppo non ci sono più, ho perso la certezza che siano mai esistite.

Sono tornata a quando scrivevo (1978) (in TAMTAM):

MAMMA             ?          AMMA

CASA                ?          SACA

AMORE             ?           EMORA

UOMO              ?            MOUO

DONNA             ?            NANDO

LIBERTA’           ?            IBRATEL

FORZA              ?            ZOFRA

CORAGGIO        ?            GARGOCIO

AMICIZIA          ?           ICAMIAZI

COMPAGNO       ?          GNAPOMCO

XXXYYYJJJ         ?          JJJYYYXXX

Di nuovo oggi la “cosa” e la sua definizione perdono senso e significato, l’imbecillità umana è alla sommità del suo rivelarsi. La guerra, che è morte distruzione sofferenza dolore per i popoli e per i militari abitudine alla sopraffazione alla violenza al disprezzo alla disumanità, viene chiacchierata in tv e sui giornali con una superficialità ebete,  l’ingiustizia sociale, sempre più profonda e lacerante, è sancita da leggi sempre più di classe (uso ancora questa espressione anche se so cha vanno apportati mille aggiustamenti), i morti sul lavoro aumentano e non a causa di arretratezza dei mezzi ma della sciatteria e avidità dei “padroni”, la salute e l’istruzione s’infiacchiscono,  il clima attua e minaccia distruzione, il cibo manca e viene massacrato chi lo cerca, e le donne, infine ma non come ultimo fenomeno, scontano la frenesia lo stato di allarme l’impazzimento di tutto il sistema, così vengono massacrate e oltraggiate, ma vengono usate come protagoniste (svilite e/o falsamente esaltate) di trasmissioni, occasioni di presenze in tv e movimenti di danaro.

A rispondere a quegli interrogativi del 1978, per me e per tante, arrivò il Femminismo:

“La ribellione delle ragazze arrivò prima del 68, ci terrà a raccontare Mita alla piccola Giò. E’ vero che il movimento delle donne in Italia prese forma compiuta verso la metà degli anni 70 ma, insisteva, in quel periodo prendemmo coscienza collettivamente di ciò che era già nel nostro agire e in quello di molte madri nonne bisnonne e ne sviluppammo il significato e le implicazioni. Quel cicaleccio tra femmine quell'andarsene a braccetto, le teste vicine, quella condivisione di lacrime e entusiasmi con l'amica del cuore già a metà degli anni ’60 avevano preso forza tra le ragazze, che scoprirono di tenerci davvero ai desideri. E la cosa magnifica, ripeteva Mita a Giò, era che ciascuna rispettava i desideri delle altre senza scriverci sopra un saggio o fissare quella felicità con una parola chiave. Quando si confidavano fantasie attorno alla vita futura, nessuna delle sue compagne di Liceo, proseguiva Mita accarezzando la testina di Giò, reputava il sogno dell'altra di minore importanza. Una si voleva sposare, un'altra fare l'attrice, un'altra la scrittrice, un'altra voleva viaggiare. Tutte sarebbero state felici. Ciascuna a suo modo. Però, ascolta piccola Giò perché questo è importante, la vita meravigliosa che aspettava dietro la siepe leopardiana sarebbe stata preclusa a chi non fosse stata capace di pensarla. Di immaginarla. Così, a quelle ragazze, bastò articolare l’immaginazione per costruire il progetto di una vita senza prevaricazioni guerre violenze divisione tra ricchi e poveri prepotenze ingiustizie ipocrisie. Partivano da sé le ragazze, e presto capirono che solo in un mondo rivoltato come un guanto si sarebbero avverati i desideri. Virginia Woolf, e Mita l’avrebbe scoperto più tardi, scrive che le donne, ascolta Giò, fanno politica perseguendo i propri desideri. Semplicemente”. (da La nave delle cicale operose)

I desideri. Già. Ma i desideri ora sono ingannatori, costruiti e indotti da quello stesso Potere che sfrutta chi non appartiene all’universo dei potenti. Le donne sono tra questi, anche quelle che credono di essere padrone. E dunque quanto suona antica questa piccola nota (sempre da La nave…), che però ancora può dire qualcosa:

“E allora le ordinò, le ordinò, di guardare, di guardarsi attorno. Mena alzò le spalle, scosse la testa, ma guardò. E finalmente le vide. Vide donne a braccetto, volti sicuri, pieni di vitalità e di forza, nasi per aria labbra larghe nel sorriso, vide quell'amica grassa che danzava quella piccola che volava quella con i capelli corti corti e magra magra che prendeva il microfono e parlava e poi parlava un’altra e un’altra ancora, rosse, E’ la prima volta che, scusate l’emozione, insomma vide quell'allegria di tutte, quella forza quella convinzione quei corpi in movimento, e ripensò agli incontri con i compagni a quelle assemblee dove non aveva mai osato prendere la parola. Vide la sapienza di alcune, attente capaci, la dolcezza di altre, quel cipiglio pensoso di altre ancora, insomma vide quel loro essere, nelle diversità, tutte donne che aprivano il cuore alla speranza che ci potesse essere un modo diverso di concepire la vita le relazioni il lavoro la politica.”

Ma era davvero così, mi chiedo oggi, o ero io a immaginare questa realtà e a farla vera? Dove sono quelle che si abbracciavano si giuravano lealtà eterna e studiavano, suonavano, ballavano, passeggiavano braccia strette una con l’altra, intrecciate sulla schiena. O era la Letteratura? La Letteratura. Altro mistero. Scrivevo, nel Prologo a Le amiche di Carla, che è anche una brevissima professione di poetica (la necessità di raccontare e il dipende se): “C’è un momento, nella vita di tutte noi, nel quale si rimane incantate dalla limpidezza perfetta con cui il nostro sguardo incontra lo sguardo del mondo. La memoria di questo incanto, fatto di dolore assoluto e di felicità altrettanto assoluta, non è dolce da sopportare e per questo lentamente si perde, lasciando una specie di nostalgia, di stupore continuo, che determina le forme del desiderio e - credo - perfino carattere e comportamenti. Questo per dire la necessità di raccontare, di rappresentare o di fermare semplicemente, la meraviglia che un tempo si è impossessata di noi e che non ci abbandonerà mai più. In quanto al riuscirci, è un altro discorso. Dal quale dipende se la nostra passione prenderà forma. Per ciò che mi riguarda, a volte ho l’impressione che si sia fatto tardi. Sebbene lo stesso perdurare della mia visione, nella mia mente e nel mio corpo, mi inciti senza sosta a cercare e a trovare le parole necessarie.

Il fatto è che io ho una storia da raccontare, uno spazio, un tempo. Ho da raccontare una felicità. Un dolore. Forse ho da raccontare una favola.” (da: Le amiche di Carla)

E dunque volevo raccontare una storia o una favola? Era una favola e già ne avevo coscienza, perché la favola è insita nella nozione di Letteratura, come ho scritto altre volte e come ripeto anche nelle ultime dell’Epilogo de Le amiche di Carla (“…la vita è veramente un gran casino… Questa però, questa delle buone fanciulle, è una favo­la. Cioè, come dicono ora, una menzogna”.)?

Non so rispondere. Confesso: non lo so.

E’ lo sguardo che fa le cose ma le cose devono pure esserci, o no?

E insomma, tutto quel dolore e quello smarrimento che avverto non mi impediscono di scherzare, di decidere di chiudere questo post per scrivere altro. Prima però, in onore della Primavera e della Festa della Poesia, pubblico qui, per le ragazze di oggi e per le sorelle amate e lontane, alcuni miei vecchi Landays (che vennero gridati a piena gola in non ricordo più quale grande Manifestazione di donne a Milano, mi raccontarono alcune ragazze). Queste nostre sorelle ci impongono di chiederci cosa e come fare di fronte a tanta tragedia, cosa e come possono agire le ragazze (e le vecchiette) che desiderano un mondo migliore, vivibile, contendibile almeno, e la risposta, per me, è che bisogna liberarsi di questo marcio mondo occidentale, tenendo presente che si è libere se si usa la propria libertà. E se si riesce a distinguere la falsa libertà che la incultura vorrebbe distribuire (sono libera di fare questo e quello), da quella che davvero ci restituisce al mondo e ci permette di trasformarlo.

mi faccio donna libera

se ogni giorno uso la mia libertà

*****

ho finalmente un amore

ignorato per anni: è amore per me

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le ragazze camminano

col passo lungo ed i capelli al vento

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passi pesanti armi pronte

eppure un piccolo seme mette radici

*****

senza bisogno di volare

stacchi un pezzo di cielo lo metti sul cuore

*****

non i sogni sono reali

ma la nostra capacità di sognare

*****

le ragazze della prima B

insieme non si lasceranno aggredire

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alleva la guerra bambini

rendendoli spietati insensati guerrieri

*****

rossa una mano sul fianco

bianca stupivi di tanta ferocia

*****

essere nel mio pensiero

voglio memoria di stirpe padrona

*****

siamo ora sbocciate per noi

e diventiamo storia per tutte le altre

*****

Ti stringo forte piccino mio

ma arriva l’onda e ti strappa dalle braccia

*****

Fuggo torture guerre e morte

e a questa barca affido il tuo futuro

*****

Disperata cerchi il mio seno

ho solo veleno nel mio corpo spossato

*****

Sul mio viso vento e pioggia

sogno calore e riposo scrutando la notte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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