Opposizione (termine da scandire come “annunciazione annunciazione” della Smorfia, anni fa, ricordate?)

6 Febbraio 2024

Opposizione (termine da scandire come “annunciazione annunciazione” della Smorfia, anni fa, ricordate?)

Che cos’è l’opposizione di cui da più parti (sempre poche) si lamenta la mancanza?  Ciò che si oppone (che dovrebbe opporsi) alla questione centrale, al “nemico”, insomma ciò che, dalla periferia, dovrebbe muovere contro il centro.

Ma attenzione. La nozione (e il termine) di “opposizione” è alla base (assieme ad altri fattori di cui abbiamo maggiore e più antica consapevolezza) del guasto operato in questi decenni riguardo la nozione e la pratica del “fare politica”.

Come si può costruire una visione autonoma, un progetto di libertà e uguaglianza, di grande sogno rivoluzionario che bandisca ingiustizie, povertà, violenza, sopraffazione di un genere sugli altri, di una classe sulle altre, di una cultura, una religione, un paese sul resto del mondo? Come si può ri/afferrare la strada per una fede in noi stesse/i, per un entusiasmo di costruzione, per la capacità e la volontà di progettare? Non è possibile se concentriamo pensieri, accuse, svelamenti, lamentele, rabbia, paura, su chi ci opprime e ci violenta, ci impoverisce e ci avvilisce, senza ripartire col lavoro di conoscere e costruire i nostri desideri, il nostro desiderio, la nostra sostanza, la nostra gioia di vivere. Non è possibile.

Certe espressioni sono ripetute ogni giorno e alludono, è vero, al deserto che dovrebbe invece essere un luogo ricco di forze e proposte alternative al governo e alla destra. Certo, i danni che fa la destra oggi si accumulano sopra quelli prodotti da decenni di pessima e stravisata politica e aumentano povertà, ingiustizie, violenze, assassini, prepotenze, sfruttamento… ma non può essere questa sequela di negatività il progetto su cui muoversi.

Che fa l’opposizione? Non c’è opposizione!!! E come potrebbe nascere e svilupparsi? Il concetto di “opposizione” non contesta la centralità del "nemico". Agire contro, organizzarsi contro, tutto giusto, come è giusto denunciare, svelare, eccetera, ma lo stesso termine “opposizione” non prevede una visione complessiva nuova, alternativa, costruttiva, propositiva, non parte dal nostro desiderio, dal nostro esserci, non può interpretare le aspirazioni delle persone, soprattutto dei giovani.

Tanto tempo fa imparammo che il capitalismo, il liberismo, il patriarcato (chiamatelo come volete, quello è) è totalmente e definitivamente autocentrico. E’ il potere finanziario al centro della storia, della geopolitica, della produzione culturale, della società divisa in generi, classi, culture, e anche età, stato di salute, è quello la misura centrale, assoluta e imprescindibile, con cui dovremmo misurarci. Ma è difficile, sia perché si tiene stretto “l’ordine del discorso”, sia perché senza una visione, un’idea o un ideale di mondo, manca la spinta fiduciosa nella riuscita.

Fare politica per cambiare il mondo, come si diceva una volta, contiene un piccolo inganno. Noi lo facciamo il mondo semplicemente vivendo, semplicemente avendo le scuole che abbiamo, gli ospedali che abbiamo, mangiando quello che mangiamo, leggendo quello che leggiamo, lavorando, camminando, scrivendo…

Per ripensare e rifondare la visione, il punto di vista, il desiderio e i desideri che muovono le/i rivoluzionarie/i, il Movimento femminista, le femministe degli anni ’80 e quelle che continuano a essere tali, si muovono/evano con assoluta noncuranza del mondo così come lo vedono, lo vivono, e lo fanno gli altri. Di quel mondo che altri volevano/vogliono imporre. Le femministe si interrogano sul sé, cioè sulla propria storia, sul proprio avvertimento di mancanze, di spreco, sulla propria visione di luce e gioia, e così attuano la liberazione di sé e di quante altre/quanti altri riescono a coinvolgere.

Da quanto tempo la “sinistra” ha perso la centralità del suo muoversi, del suo sguardo, della visione del mondo che vorrebbe? Romanzi e film che raccontano delle grandi utopie di anni passati oggi fanno tenerezza, sentimento molto vicino al disprezzo, in certi casi. Quanto è stucchevole ascoltare: perdiamo perché siamo divisi! E rispondo: E andate nelle case, una a una, nelle baracche, nei così detti centri di accoglienza, nelle carceri, negli ospedali, sulle spiagge d’inverno a scrutare l’orizzonte, andate dove l’offesa alla vita è più forte che mai, disertate le stupide e ipocrite discussioni, pensate pensate pensate, come ci ammonì Virginia Woolf, pensate come fare, cosa fare.

E invece ora anche tante donne continuano a cadere dal pero: Oddio ma a scuola si studiano solo i maschi! Oddio, ma quel politico ha usato modi e parole sessiste! Oddio, ma le donne sono pagate di meno! Oddio, oddio, e continuano a essere arrabbiate, a misurare la parzialità, la inammissibilità dell’organizzazione patriarcale. E partono sempre da quella, come una volta (ma anche oggi) donne non pronte ad osare continuavano a lamentarsi dei figli dei lavori di casa e soprattutto del marito, enumerando le sue colpevolezze, intanto scuotevano la testa e riprendevano a cucinare.

Bene, vi do una notizia: Lo sappiamo da decenni, anzi molte artiste e intellettuali già nella storia antica erano consapevoli e coerenti con una visione “altra” del mondo, ma, ahimè!, le donne per credere a questa verità (e ad altre) devono sentirselo dire da qualche maschio!!!  Devono sentirsi “pari”, senza comprendere che certa così detta parità è invece la sanzione della sconfitta, dell’omologazione.

Quando, ad esempio, certe donne si lamentano che le scrittrici non siano accettate dal “canone”, mi deprimo. Quella cosa lì è un canone maschile che continua a impostare il mondo sulla sua ormai screditata e decadente identità. Noi aspiriamo ad altro, non ad un canone femminile, ma alla sperimentazione continua, al moltiplicarsi di esempi, all’esercizio del “balbettio” e alla creazione di un mondo nuovo.

Abbiamo una sola strada per cambiare il mondo, anzi: per sentirci parte di un mondo in trasformazione che lascia indietro quello vecchio, violento, obsoleto, che però continua a fare danni. Decenni fa scoprimmo che non basta l’emancipazione di una o di un gruppo o di un ceto, bisogna ripartire dai desideri, rivederli, ripulirli dalla patina o dalle incrostazioni della cultura dominante.  Per cambiare il mondo, perlomeno quello che quotidianamente riusciamo a toccare, va elaborato il nostro desiderio e la nostra visione, ostentando noncuranza nei riguardi dei sedicenti “padroni”.

Il mondo può essere nostro, ma bisogna volerlo. E chiudo con un mio haiku che scrissi molto tempo fa e che scoprii scandito durante le manifestazioni di due o tre anni fa a Milano da gruppi di ragazze: mi faccio donna libera se ogni giorno uso la mia libertà.

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