LE VOCI e GLI SGUARDI ` Forum su percorsi di ricerca. Da: Pensare pensare pensare, c. 2000

12 Novembre 2023

Da Pensare pensare pensare, c. 2000

spazio di discussione sul sito www.arabafelice.it  (chiuso oramai da tempo, e occupato da altro estraneo a noi)

LE VOCI e GLI SGUARDI ` Forum su percorsi di ricerca

Anna Santoro - 1) : etica e scritture di donne

Nel riflettere sul nuovo Tema di approfondimento da proporre sul Sito, mi chiedevo in che modo sottolineare il suo profondo intreccio con quelli già proposti (sulla pena di morte, sulla guerra, sui linguaggi) che ancora sono in pieno sviluppo e ai quali tante e tanti lavorano. Da questo, il mio pensiero si è spostato su di un'altra questione: come saldare il sentimento di forza e di fiducia che mi viene nell'andare ad un incontro con altre e con altri, che, ciascuna e ciascuno a suo modo, portano avanti indagini e discorsi comuni, raccontano il proprio lavoro, lo confrontano, lo discutono, si pongono in ascolto di quello altrui, creano relazioni... e il sentimento di preoccupazione, di angoscia, di solitudine, che mi comunicano eventi e situazioni del mio paese e di livello internazionale.

Il sentimento di forza, pensavo, mi nasce dal sentirmi tra persone con le quali ho comunanze, interessi comuni, sguardi più o meno affini, linguaggi e codici condivisi sia pure a volte con difficoltà e nasce dalla scelta di essere, di manifestare me stessa come fossi un albero o una giornata di pioggia, un balcone fiorito o un cane che gironzola: è così, sono così; e dall'intelligenza di sapere che comunque non è detto, dalla curiosità verso ciò che è intorno e ciò che è dentro di me, dalle continue scoperte ...fuori e dentro di me. Quello di preoccupazione e di angoscia nasce ...dalla guerra? dal dilagare del malgoverno, dalla violenza, dalla sempre più evidente ragione economica come motore di tutto, dalla povertà e dalle violenze subite da tante da tanti? dalla stupidità delle analisi, dall'ingordigia dei mezzi di comunicazione, dall'opera di deformazione dei mezzi di comunicazione, dallo strapotere dell'immagine? dalle delusioni della politica, della cultura? Ma anche dal timore, che spesso trova conferma, che forse certe comunanze non sono tali, certe affinità si rivelano illusorie. Può darsi, e certo sono questi ultimi interrogativi quelli che davvero mi preoccupano e mi comunicano debolezza e dunque è su questo che vorrei aprire un confronto serio: noi, non solo noi donne ma noi donne per prime, sappiamo che la differenza si fa, non è un'astrazione, una definizione intellettuale più o meno astratta, è un fare, un agire, un poiein. Come la poesia. Che c'è o non c'è. E c'è se la sì fa. Si fa anche il mondo, non lo si cambia. Non è qualcosa fuori di noi: questo è un pensiero rassicurante. No, noi lo facciamo sempre e comunque: con i nostri gesti, le nostre scelte, il nostro pensare, guardare, vedere, leggere e scrivere. E allora dobbiamo pretendere molto da noi, e possiamo farlo se siamo ognuna e ognuno per l'altra/altro un appoggio, un confronto, una sollecitazione.

Mi chiedevo (non appaia ingenuo l'interrogativo) perché continuiamo questo magnifico lavoro di recupero e valorizzazione, di creazione di spazi, figure, percorsi, scenari. Mi chiedevo perché m’innamoro (c'innamoriamo) del lavoro, dei risultati del lavoro, perché è così necessario nella mia vita. E mi sono risposta che devono essere preservate le qualità e i progetti che ciascuna e ciascuno di noi possiede, anche per bilanciare, sul piano emozionale, la percezione di una organizzazione sociale sempre più estranea e preoccupante con quella di un cammino di crescita che noi nutriamo e viviamo. La questione decisiva, per me, è continuare a conservare, articolare, nutrire, la nostra differenza e le nostre differenze (purché siano autentiche e chiaramente espresse), il nostro sguardo, la nostra capacità di poiein, e anche essere vigili, ripensare la nozione di etica partendo dalla realtà del nostro essere, dai comportamenti, dalle motivazioni del nostro lavoro, per non essere assorbite e assorbiti in una normalizzazione che oggi si presenta più che mai pericolosa, perché, al di sopra delle meschine e chiare volontà di dominio (politico, economico, culturale) si ammanta di pseudo-razionalità, di buon senso comune, di apparente inevitabilità dell'accettazione di canoni comportamentali, culturali, politici, sociali che raggiungono le persone, ormai definitivamente assunte come "utenti".

Così, è su questo che voglio interrogarmi, assieme a voi. Sebbene mi piacerebbe raccontarvi in modo ordinato le modalità della mia ricerca, iniziata poco meno di trenta anni fa, che mi ha permesso di contribuire alla ricostruzione di scenari, al recupero della memoria di tante scrittrici italiane, ora amiche presenti pur essendo vissute secoli addietro, in realtà vorrei parlare di noi. Di noi "lettrici eccentriche", di perché leggiamo, di come leggiamo, di cosa leggiamo. Di perché continuiamo.

Certo è che, su Dominae e altrove, leggo nomi di scrittrici conosciute e di altre poco note, leggo nomi di studiose che esercitano i propri saperi con diverse modalità di lettura. Tutti questi nomi formano un universo fino a pochi anni fa sconosciuto, e che ora, grazie a noi, si è andato creando. E ho capito che davvero, mai come in questo momento, la pratica creativa ed etica, che esercitiamo con i nostri saperi, le nostre esperienze, la relazione che intrecciamo tra noi e le storie del passato, ci danno la forza del poiein. Ecco, questo piccolo preambolo mi è servito. Nel cercare ciò che avrei voluto dire, l'ho detto. Ho alluso già a questioni metodologiche, anticipando anche le conclusioni: partire da sé, partire dalla passione e dalla curiosità, cercare la relazione, leggere il mondo, sono questi i primi elementi che ci accomunano nella ricerca di genere.

Vorrei cercare di capire, assieme a tutte voi, il bisogno di ricerca della tradizione di scritture di donne che noi possediamo. Perché da questo, dal tipo di necessità che spinge alla ricerca, dipende anche la metodologia della lettura. E vorrei in certo senso confrontarlo con quello che spinse le donne della mia generazione, in Italia, a iniziare questo lavoro. E quale era la metodologia che si inventarono nel e per cercare le scrittrici italiane. Una cosa infatti è chiara: quelle di noi che partirono segnatamente riconoscendo nelle scritture delle donne quella che si chiamava "la differenza" si inventarono una metodologia inedita, ignorarono il Canone di lettura, iniziarono la pratica della ricerca di genere, cioè dal punto di vista sessuato. Così facendo, dettero vita, ciascuna a suo modo, a tipologie di letture che mettevano al primo posto la creatività e l'etica. Dettero vita anche alla scrittura creativa.

Voglio ricordare, con lo sguardo e la coscienza di oggi, le motivazioni dell'inizio, cosa e se alcune/molte di noi, che iniziammo tempo fa a fare questa ricerca nel passato, abbiano mutato. Cambiano infatti le motivazioni con il passare del tempo, cambiano i nodi che noi vogliamo sciogliere. E cambiano le modalità.

Parto da me, come è nella nostra tradizione. Quando, verso la fine degli anni 70 del secolo scorso (!), cominciai a studiare le scrittrici italiane, fu per tanti motivi. A quei tempi, avevo circa trent'anni, partecipavo con assoluta dedizione, da quando ne avevo meno di venti, a quello che ancora oggi viene chiamato "il `68", insegnavo e crescevo mio figlio. Mi appassionava ancora l'idea di "cambiare il mondo", ma pensavo che non mi piacevano le divisioni tra quelli che desideravano un "mondo diverso". Stava iniziando la crisi del movimento politico, delle certezze: continuavo a "fare politica" ma in altri contesti, e avevo ripreso a studiare, pubblicando vari studi su autori soprattutto del 700 e dell'800, sulla "crisi dell'intellettuale", sul teatro politico, sulla "meridionalità" e così via. Come punto di riferimento culturale, avevo ripreso rapporti con l'Università, ma non mi piaceva.

Intanto erano nati i primi collettivi femministi e io ero incuriosita dalle femministe e dai loro discorsi perché mi aiutavano a comprendere che quella diversità che tante volte avvertivo nei confronti dei miei compagni non era unicamente mia. Era una diversità che mi apriva comunanze e complicità con tante altre. Le mie insofferenze, le mie ribellioni, il mio senso di solitudine e di insoddisfazione che tante volte mi prendeva, appartenevano alle donne. Questo pensavo. In breve tempo, entrai anche io in un collettivo, mi separai da mio marito, cominciai a scrivere un romanzo. Da sempre scrivevo: poesie, racconti, scene teatrali, ma quel romanzo "In altro modo?" (che pubblicai anni dopo) fu fondamentale: nella scrittura e nella vita avevo iniziato a cercare “la mia identità". Nel frattempo, nelle ricerche che facevo in Biblioteca, avevo preso a fare attenzione a quante schede si riferivano a donne. A quei tempi, si riteneva da tutti, e anche da tutte, che scrittrici in Italia, tranne quelle pochissime a volte citate nelle Storie letterarie, non ce ne fossero. Questo mi appariva di una gravità incredibile: non avevo madri da cui imparare, né a scrivere né a pensare. Questo preambolo veloce, ma che può apparire troppo lungo, mi serve per sottolineare le motivazioni che allora mi spinsero, e mi serve, pur raccontando la mia esperienza, a far conoscere a chi non c'era un clima e un percorso comune a molte della mia generazione. Dunque c'era una insofferenza, una voglia di trasformazione di quella che ci appariva una società beghina, ipocrita, violenta, ingiusta. C'era il desiderio di trovare appartenenze, complicità, desideri comuni. Molte di noi siamo passate attraverso l'esperienza politica. Poi venne la scoperta della "differenza", che a me apparve risolutiva, venne il tempo della "sorellanza". E venne la necessità di lavorare nel presente e sul presente, ma anche di ricostruire una storia negata che invece desse forza.

Aspetto le vostre missive, i vostri racconti. Un abbraccio Anna

 

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