Eravamo anche così Da Le amiche di Carla, Filema, Napoli, 1999

15 Novembre 2022

Eravamo anche così

Da Le amiche di Carla, Filema, Napoli, 1999

Mi ricordo quel Natale. Quello quando andai a Parigi pro­prio da Massimo che mi aspettava al treno e appe­na io sce­si, mentre ancora mi guardavo attorno tra quel mare di te­ste e io sentivo la mia che rimbombava per la stanchezza e per quella ca­gnara tutto intorno, quelle brac­cia mi solle­va­rono e quell'odo­re, quei peli, quella barba e quella sciarpo­na e insomma ero stata avvolta da lui così grande, bello e un po' ingrassato. C'erano tutti quegli amici nella casa, qual­cuno già lo conoscevo e ci fu quel ridere e quel giocare, quel brindare e poi quell'an­dare in giro proprio come fossi una turista: "e se no che sei?" mi grida­va Mas­simo all'orec­chio e mi abbracciava. E poi a quel loro bar incontrammo quegli altri due e uno dis­se a Massimo "sei tornato?" e io la sera gli chiesi "ma scu­sa, non stai sem­pre a Parigi?" e lui parlava e scherzava e qualcosa ri­spon­deva, ed io "ma come? anche a Napoli sei venu­to?" e insomma nel letto mi sentivo piccola e avevo quel pu­gno attorno al cuore, quell'oppressione tra cuore e stomaco. Il che vuol dire esattamente che è come se scop­piasse una pic­cola bomba in pancia e tu senti che si fa un vuoto che ti da quella sensazione che sei sola e hai vo­glia di la­sciar per­dere tutto e andartene. Ma poi lui mi chiese "che c'è?", mi dis­se "dai Rossa", e poi "sa­pessi che felicità, ti pre­go, ti prego" e voleva dire: "ti prego, non rovinare questo poco tempo, tu sai che passa, sai che è po­co", e io gli buttai le braccia al collo e ci baciam­mo e lui mi stringeva e mi accarezzava e diceva "Rossa Ros­sa", ed io lo ba­ciavo, lo accarezzavo e dicevo "Massimo Mas­simo". Poi lui entrò e mentre era lì e andava su e giù con tutta la dol­cezza che esiste in questo mondo e intanto mi guardava con quella ruga tra gli occhi e i ric­cetti che gli spuntavano sul col­lo e dietro le orec­chie e quelle so­pracciglia così ni­tide e quegli occhi teneri e accidenti un po' tri­sti, e insomma eccetera eccetera, anche io lo guardavo e non riu­scivo a non piangere e dicevo pure "tesoro, amore mio, ti voglio" e cose del genere, con quel­la voce che se ci penso mi viene da ridere. Per darmi un contegno. Ora.

E poi ri­cordo quel­l'altro Natale. Quello che stavamo in cam­pa­gna da certi amici e lì avevo incontrato anche Carla e quando lo rac­con­tai a Nina lei fece quegli occhi dispiaciu­ti "a sa­per­lo..." disse, ma tanto non ci veniva lo stesso credo, e insomma quel­l'anno che, tra bot­tiglie e botti­glie e botti­glie di quel vino buono che face­vano loro, si discu­teva tutti di scelte metropoli­tane e scelte "campagnole", di politica e agricoltura, di Marx e di Siddharta, di Cina e di India, e però tutti erano un po' in crisi e nessuno se la sentiva più di dire, come pure aveva fatto fino a poco tempo prima, "è così", a un certo punto tutti a gri­dare "dai Napoli, cantaci qualcosa", e io "non so cantare", e loro "dai, sei di Napoli, no? e allo­ra..." e allora ci met­temmo a cantare io e Carla interrompendoci continuamente un po' per tutto quel vino un po' perché davvero io sono una schiappa e Car­la manco ci scherzava, un po' perché ero trop­po felice di tut­ti quei visi e del mio e ci guardavamo tut­ti e io e Car­la ci abbracciammo mischiando, si dice co­sì?, lacrime e risate, perché certe volte la felicità e il dolore sono così mi­schiati che...

Così finì che ci met­temmo a cantare tutti insie­me, a ur­lar­ci che eravamo mera­vigliosi. E mentre cantavamo sentii i cani ab­baiare e il rumore di quel motore che si avvicinava e u­scimmo a vedere chi era che arri­vava così tardi, perché ormai era quasi mezzanotte ed era il trentuno dicembre, e ognuno diceva "scommetto che è questo o quest'altro", e io guardavo quegli occhioni della macchina che si arrampicava su per la collina e avevo por­tato da Napo­li bengala e ben­galini, tric trac col fischio e anche le stelline per i bambini, e c'era uno pronto ad ac­cendere e altri con le bottiglie in mano, e u­scimmo tutti fuori a vede­re e io ave­vo le mani gelate sprofonda­te nelle tasche dei jeans, quel­li che mi andavano sempre un po' lar­ghi ma che dopo tutto quel mangiare e bere quasi non ci respi­ra­vo, e uscimmo fuo­ri a vedere e io trattenevo il col­lo e il mento nella sciarpa e vidi come in un film che da quella macchina usci­va proprio quella faccia e poi quelle spalle e poi quelle gambe si srotolavano e tu proprio tu venivi a cercarmi gli occhi e quando li trovasti, subito, quando li trovasti que­sti miei occhi fu come se tutto si fermasse.

Come avevi fatto, Massimo, a sapere dov'ero, io proprio non te lo chie­si quella notte. Quella notte? quell'alba, quel giorno e quel­l'altra notte ancora e quando tu quella matti­na dice­sti "ciao, amore, ora devo proprio andare", neanche te lo chie­si perché ar­rivavi e perché ripartivi. Come mi bastava quell'a­marti. E grazie che dopo nulla più mi bastò, o forse un nien­te: che uno avesse qualcosa, una qualunque, quel gesto, quei riccetti, quel sorriso, e mi sembrava che fosse te, che tu fossi torna­to. Per un momento. Quanti den­ti sorri­denti, quante mani comprensive, quante spalle. Le tue mai più. Perché proprio quella seconda notte, a un cer­to punto ti cer­cai con la mano e non c'eri nel letto. Allo­ra mi av­volsi nel­la coper­ta e uscii a cercarti immaginando di tro­varti, che so?, roman­ti­camente fermo alla finestra a guar­dare la notte, e invece la pri­ma cosa che notai fu lo scat­to delle mani, quel tra­salire del tuo corpo, quelle gocce di sudore sul lab­bro proprio sotto il naso.

Così iniziò. Io dissi "ma sei scemo o cosa?" e tu risponde­sti che chissà che mi credevo, non è nulla, Rossa, è solo che sono stan­co. "Sono sempre Massimo" aggiungesti, e allo­ra io mi avvici­nai a quella finestra a guardare io la notte e poi mi voltai "senti..."

"No, aspetta. Aspetta Rossa, ehi Rossa, aspetta. Ti ricor­di, di', ti ricordi quel film, quello di Costa Gravas? non quel­lo, come si chiamava?, L'orgia del potere, l'altro, sì, L'a­merikano? Ti ri­cordi? -io faccio sì con la testa ma in­tanto lo guardo e sono soprattutto stupita: stupita che capiti a me, a quel Massimo lì, a quello che veniva ai bal­letti quando eravamo ragazzi­ni- Ti ricor­di che a quella scena del cortile dell'Università, quella dove suonano gli altoparlanti uno alla volta, cosa suona­no?, Comandan­te Che o cose del genere, e i poliziotti vanno e buttano giù un altoparlante, e allora ne parte un altro, e allora tutti i poli­ziotti a rompere quell'altro, e allora un altro conti­nua, e poi un altro e un altro, insomma a questa scena e poi a quell'al­tra, quando i poliziotti uccidono quel ragaz­zo, ti ricordi che tu ave­vi le lacrime agli occhi?"

"Mi ricordo -mormoro io e davvero quelle parole mi fanno tor­nare nella saletta buia, piena di fumo, di quel cinemino scalcagnato- mi ricordo, ma che c'entra? -e forse già capi­sco- ma che c'entra? Senti"

"Aspetta. Nel buio ti guardai e ci strin­gem­mo le mani".

La sua voce è impastata e lui ha perso il filo, ma io, io accidenti, lo so quello che vuole dire, così mormoro "mi ricordo" e davvero sento come allora quell'angoscia che  si fa strada e mi da un senso di scon­fit­ta.

"A me non veniva da piangere, Rossa, solo rabbia. Rabbia mi veni­va e fu allora che decisi proprio"

"Ma cosa? Cosa, Massimo?"

"Lo sai. Poi Parigi e là...tante cose. Que­sto conta. Ricor­dati: questo conta"

"Ma che c'entra questo? Che c'entra con questo" e faccio un gesto a indicare quelle mani.

Così iniziò. Tu poi andasti via e io, questo l'ho capito do­po, io fui codarda donna di pezza che non ti fermai, non ti schiaffeg­giai, non ti obbligai a tornare con me a Napo­li, perché io non volli capire, perché io pensavo sempre che era impossibile che fosse vero, che non poteva essere che quel Massimo avesse niente a che fare con la morte, l'autodistru­zione e tutte queste cose. Perché io pensavo che sì, piange­vamo di delusione, ma lo sapeva­mo, tu lo sa­pevi, che gli sciacalli questo aspettavano, per que­sto ave­vano lavorato. Io non volli capire e nemmeno quando Nina mi guardò seria e mi abbracciò, dopo che a Napoli eri torna­to ma quanto cambiato, ed io dicevo certo che passa perché un compagno queste cose le supera perché ha dentro un obietti­vo e non può non credere a niente. Mi abbracciò anche Carla perché la pensava proprio come me, e ora questi imbecilli me l'hanno fatta fuori raccontando tutte queste stronzate.

Solo tantissimo dopo, quella notte a Miseno, quando io ur­lavo "mi stai dicendo che loro hanno vinto, che proprio tu gli dai i soldi, che proprio tu compri la loro merce, che proprio tu, tu che sai, tu che sei tra quelli che loro han­no deciso di eliminare, e che quando lo avranno fatto non ci sarà più nessuno che gli sputi in faccia, tu, proprio tu" e poi dicevo "facciamo così e così" perché non ce la face­vo a vederti sempre più distrutto, e dissi anche "que­sto è egoismo, Massimo, a me non ci pensi? non mi vuoi be­ne?", e tu mi guardasti "Ge­sù, Rossa, come sei piccola", solo allora capii.

Oddio, che vergogna, perché per me ci sono stati altri anni di allegria. Ed io ora quelli vorrei raccontare, di quando uscivo con le mie amiche e quasi soffocavamo dalle risate che ci faceva­mo, ma come posso? come posso raccontare di quegli altri anni di allegria se mi ricordo invece di più la fine dell'allegria che in quegli anni c'è stata? Se mi ricordo, se mi viene alla mente?

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