Appunti su Letteratura e Politica

16 Ottobre 2022

Appunti su Letteratura e Politica

    Continuo a interrogarmi sul rapporto tra letteratura (poesia) e politica, e su coloro che le gestiscono nella società attuale modificandone l’origine e cioè, per la poesia, quella del poiein, e per la politica, quella di occuparsi del bene comune. Forzando l’etimologia, mi piace ripetere che entrambe significhino fare il mondo: lo sguardo di chi le esercita, penso, ha (dovrebbe avere) la capacità immaginifica, estetica e morale, di avere una visione, (che nasce da ciò che è attorno), tale da trasformarlo, nel momento che lo assume con purezza. Oggi i loro destini, le trasformazioni nel loro farsi, il modo con cui vengono vissute nella società, la poesia e la politica, e agite da chi le diffonde, seguono lo stesso percorso.

   Negli ultimi decenni abbiamo assistito allo spostamento progressivo dal testo all’autore (uso qui il maschile deliberatamente). Da anni per quel che riguarda la gente di spettacolo, divi, cantanti, musicisti, i loro personaggi sono divenuti centro dell’attenzione molto più di ciò che scrivono, cantano e così via. Successivamente è accaduto per lo scrittore, il filosofo, il saggista addirittura, di attirare l’attenzione (se l’attira) più o unicamente per il personaggio che interpreta e che si è costruito (o che qualcuno ha costruito per lui).

   DeLillo, in Mao II (1991), si interroga sulla funzione e sul ruolo dello scrittore negli States, e, si badi, di scrittore letto e premiato. E annota/denuncia lo spostamento del mito dal libro all’autore (su cui l’editore punta). Scrive con amarezza: “In Occidente, noi (scrittori) diventiamo effigi famose mentre i nostri libri perdono il potere di formare e di influenzare…”. E’ finito il tempo in cui erano gli scrittori ad “alterare la vita interiore della cultura”, a far riflettere, mettere in crisi le convenzioni e il Potere. Il famoso “messaggio”, di cui tanto si discuteva negli anni 70 del secolo scorso, non è più preso in considerazione, anzi è deriso qualora lo si scorga, e comunque non è più importante. Semmai è legato alla popolarità di chi lo manda, e si dà attenzione al clip di un cantante, e anche di uno scrittore o di un saggista, più che al “testo” di cui è egli stesso autore. Viene sottratta insomma alla Letteratura, e alle arti in generale, l’essenza: l’essere politica. L’essere politica contro, naturalmente, perché anche questo abbandono del senso, questo spostamento, è politico.    

   E in Politica? Perlomeno da sor Berlusca in poi, in un crescendo impressionante, si parla unicamente di chi si autoproclama protagonista e in questa operazione è molto aiutato dai media. Oramai non hanno importanza i nodi, i programmi, non si differenziano le proposte di uno da quello di un altro (spesso teoriche o indistinguibili), non si dà importanza alla “visione” che un politico, un partito, dovrebbe proporre, e infatti il politico non ne propone. Così, come per la Letteratura, il Potere economico e di Mercato ha fatto sì che, anche in Politica, scomparissero le visioni del mondo, e subentrassero le “parole d’ordine” vaghe, ripetitive e spesso fuorvianti. Ed è ovvio che ciò faccia maggiori danni ai Partiti che, una volta,  comiziavano sul “futuro radioso”.

    Anche le studiose di letteratura femminile (a cominciare da me) hanno spostato l’attenzione dal testo all’autrice, ma con altre motivazioni e spinte da altri obiettivi.

   Dall'inizio degli anni ’80 del secolo scorso, le studiose riscoprivano che dietro la scrittura c’è il corpo, che il corpo di donna si faceva (si era fatto) letteratura e che ciò andava sottolineato, in una società che aveva cancellato la produzione e la cultura femminile.

   Era importante (lo è tuttora) sottolineare e spiegare che la prima scelta (anche in senso temporale) da parte delle donne che scrivevano (che scrivono) è “partire da sé”, il che non vuol dire imitare le autobiografie spesso noiose di tanti autori del passato (e del presente), ma cercare e assumere un inedito posizionamento di sguardo. Non era (non è) una scelta di contrapposizione frontale, a volte era ed è una forma di mediazione, ma le più consapevoli sancivano (sanciscono) che si tratta(va) di altra realtà.

   Attirare l’attenzione sul partire da sé è sottolineare che la donna che scrive parte dal proprio sguardo, dal proprio corpo posizionato nello spazio/tempo, dalla consapevolezza: so di essere qui, ora, questo vedo, questo percepisco, questo fermo, il mio sguardo, incontrandosi con lo sguardo della cosa guardata, per questo s’incanta, da questo è affascinato o inorridito. Solo ricorrendo alla visibilizzazione dei corpi, dietro quei titoli di libri e quei nomi che scoprivamo, le scritture delle donne possono essere lette in modo adeguato, e può emergere la loro cultura, viva già nei secoli passati, può essere compreso il “messaggio” che quelle scritture posseggono, col solo esistere.

   Nella scrittura e grazie alla scrittura, le donne, già nei secoli passati, compiono una rivoluzione, creano un linguaggio, un pubblico, denunciano, esaltano le presenze e le azioni, e così via. In questo senso alcune studiose (e io tra loro) hanno affermato che la letteratura è politica, sempre. Ed è di parte. Sempre. Dal punto di vista del genere, della classe di appartenenza, della geografia, delle scelte, delle opportunità, degli incontri, e del carattere stesso di chi scrive.

   Nascendo da un corpo che sta in uno spazio e da lì si muove e esplora i dintorni, nascendo dal desiderio di quel corpo, la poesia ha a che fare con quel corpo, rappresenta le passioni di quel corpo, anche se parla d’altro. E, ovviamente, il corpo delle donne, il loro desiderare è altro da quello maschile. La cultura tradizionale, maschile, per costruire il Potere della propria visione, ha affermato per secoli di essere unica, generale, onnicomprensiva, cioè neutra. Ed è stato rintracciato un susseguirsi di esempi/modelli che l’hanno stabilizzata fino a creare Il Canone.

   Le donne che scrivono, rompendo quel canone (perché e se partono da altro sguardo, altro corpo, altra percezione del mondo), fanno politica (Woolf). Consegnano una lettura del mondo “altra” da quella canonizzata maschile: vedono ciò che i maschi non vedono. E dunque, una volta risalite ai corpi, noi possiamo e dobbiamo tornare al testo. Consapevoli che una donna che scrive lo fa perché vuole comunicare qualcosa, noi oggi possiamo e dobbiamo recuperare il valore del testo, possiamo e dobbiamo concentrarci su ciò che leggiamo di una scrittrice. Tanto più se i contenuti  hanno una tessitura di relazione col femminile, se assumono come propria la cultura che posseggono in quanto donne sperimentatrici e attente, capaci di leggere tutto, di dare forma a tutto, se riconoscono la propria unicità e allo stesso tempo la comunità vissuta con altre.    

   Questo è un punto importantissimo: alla libertà di ciascuna donna serve il tessuto della libertà delle altre donne, e per la libertà delle donne serve che ciascuna si faccia libera. E’ per questo che scrivere, per le donne, è sempre un atto rivoluzionario. A meno che.

   A meno che non assumano il punto di vista, i modi, i temi, le visioni, i pesi, dello sguardo maschile. Avviene spesso. Oggi molto spesso. A volte queste opere sono anche ben scritte, sperimentano, rompono certi schemi. Ma aderiscono alla necessità che ha la cultura liberista e maschilista di distruggere le diversità, o eliminando e oscurando chi possa essere pericoloso, o cercando di risucchiare, di inglobare, di normalizzare ai propri canoni ciò e chi, a sua volta, tiene più di tutto a essere invitata al banchetto del padrone.

   Anche in politica la presenza femminile ai vertici, o in posizioni importanti, dovrebbe essere un fatto rivoluzionario, ma. Ma constatiamo che le donne in politica, a parte luminose eccezioni oscurate dall’informazione, per la maggior parte e a livello internazionale, o sono ininfluenti ancelle del capo o, elette in posti di grande responsabilità e Potere, si rivelano essere reazionarie o perlomeno conservatrici. Credere che, nei secoli, tra donne e uomini non ci sia stata contaminazione reciproca è ingenuo e fuorviante. Le donne sono entrate e uscite da rapporti profondi con gli uomini, tanto che, avremmo detto anni fa, la natura storica delle donne è fortemente intrecciata alla natura prima. Così, non basta essere donna forte, volitiva, per essere “dalla parte delle donne”. Resta donna forte e volitiva, conserva anche delle differenze rispetto al modello maschile, ma non è dalla parte delle donne e, soprattutto, non vede il mondo dal loro (e dal suo, di donna) punto di vista. Non dà vita alla rivoluzione.

   Negli ultimi anni la soggettività è stata da alcune letta in modo ambiguo e fuorviante. Io credo che non esista una “soggettività” scevra di incongruenze, stupidità, superficialità, se non è generata anche dalla consapevolezza di costituire altro dalla grancassa omologata, e so che non esiste una volta per tutte “il femminile”, bombardato com’è stato di definizioni volgari, superficiali, ipocritamente celebranti. Senza dire, ed è importante, che lo sguardo non è solo sessuato (e già ammetterlo è tanto) ma è anche segnato dalla classe di appartenenza, dall’ambiente, dalla cultura, l’età, la provenienza, le relazioni, le scelte.

   In un bellissimo Convegno a Palermo (1989), la grande J. Lussu (amatissima, anche se non comprese Virginia Woolf, ma a quei tempi altre non seppero vedere l’importanza del suo insegnamento) parlò, tra l’altro, dei simboli. Ci sono simboli, spiegò, che sono barbarici eppure li assorbiamo. Prima di tutti i simboli patriarcali che creano e danno forma a conflitti sociali, alla rappresentazione delle classi sociali, e alla guerra. Questi simboli inventati dai maschi sono accettati  dalle donne che se ne fanno complici. Coscientemente o no.

   Ecco, quei simboli barbarici segnano oggi, sempre con luminose eccezioni, Politica e Letteratura. (segue)

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