I Cataloghi recentemente compilati 1 della scrittura femminile italiana, dalle origini della stampa al 1860, dei fondi librari conservati alla Biblioteca Nazionale di Napoli, offrono materiale di estremo interesse che per di più permette un ventaglio molto ampio di interventi.
Il lavoro che qui propongo (e che si lega a quanto già da me anticipato nel corso della presentazione dei citati Cataloghi2), è un tentativo di analisi socio-economica delle donne autrici qui segnalate, cioè delle autrici le cui opere sono conservate nella Biblioteca Nazionale di Napoli e ovviamente solo di quelle stampate nel corso dei secoli presi in esame 3.
La campionatura è ovviamente casuale. I dati sono esatti ma inevitabilmente parziali. Eppure la stessa scarsità e parzialità, insomma la scarsità di notizie, non dico esaurienti, ma almeno approssimativamente necessarie per la completezza dell'indagine, dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, il silenzio attorno ad una produzione per tanti versi ricca e significativa. Anche questo silenzio, comunque, va letto, e cioè il suo ispessirsi in certe epoche più che in altre, segno di una mentalità dei tempi e di una volontà che avremo modo di segnalare.
Se il lavoro di catalogazione aveva come protagonisti i libri, qui sono le persone al centro dell'interesse: donne per la maggior parte sconosciute che pure ricevevano in passato segni di ammirazione da parte dei contemporanei e anche di studiosi di epoche successive, e che costituivano presenze vive e operanti nel mondo culturale.
La maggior parte delle notizie — assenti nelle moderne Storie letterarie — sono state raccolte da Dizionari biografici e da Repertori di vario tipo4. A questo proposito colgo l'occasione per una considerazione parentetica. Molte studiose di cultura femminile (ed io con loro) hanno sempre guardato con diffidenza a questi elenchi di donne celebri, rinvenendo in essi non solo il segno di una “eccezionalità” che si voleva attribuire alle donne segnalate, da parte degli autori di tali Dizionari, ma anche ritenendo molto discutibili i criteri stessi con cui viene attribuita tale eccezionalità, sottolineando l'astrattezza dei valori e il messaggio perlomeno ambiguo che indirizzano alle donne (e no)5. Resta il fatto, comunque, che essi risultano utili oggi, nonostante l'esiguità e la parzialità delle notizie, a chi voglia compiere indagini su questa produzione: in pratica sono i manuali indispensabili a cui ricorrere per dare il via alla ricerca.
In realtà il discorso dovrebbe allargarsi in generale sul percorso delle Storie letterarie. Voglio dire che fino a tutto il 700, fino alla Storia della letteratura italiana del Tiraboschi, non abbiamo ancora una Storia della letteratura 6; fino al Tiraboschi incluso, schematizzo, più che un discorso con un suo taglio, con un suo centro — di tipo ideologico, culturale e con ragioni politiche e materiali (come invece avverrà poi — si tratta di Rassegne, dove dunque c'è maggiore spazio e minore preclusione, e ovviamente minore storicizzazione e scarso interesse alla collocazione di un'opera. Sarà compiutamente con la Storia della letteratura del De Sanctis che, appunto, i testi di letteratura saranno selezionati e disposti in un disegno, secondo criteri precisi, al fine di tracciare appunto La storia della letteratura nazionale. Così, nel disegno desanctisiano, fa testo ciò che serve, a suo parere, attraverso i secoli, alla formazione della cultura dell'Italia unita: di qui i tagli rilevanti alle letterature regionali e ai “minori”.
In particolare, a parte i Repertori di donne illustri, se Quadri, Crescìmbeni, Tiraboschi, e ancora, in minore misura, Settembrini, citeranno molte donne scrittrici, De Sanctis taglierà via tutto il “superfluo” e, a modo suo, citerà le superstiti, secondo, appunto, la mentalità sua e del suo tempo(7.
Allora è vero che “trattando le donne separatamente dagli uomini, si ignora il significato dei ruoli sessuali nella vita sociale e si contribuisce a mantenere il discorso sulle donne separato da quello storico più generale” 8, ma è anche vero che un intreccio letteratura-storia materiale, politica, etc... è una scoperta recente, compiuta grazie anche a moderne discipline quali l'antropologia o la nuova storiografia (Le Goff), e che fino all'800 in Italia, anche quando si tratta di uomini, la critica letteraria era per più versi carente (per lo meno secondo l'ottica moderna). Voglio dire, insomma, che, fermo restando il trattamento di tipo subalterno destinato alle donne, solo negli ultimi anni la storiografia e la critica letteraria hanno cominciato ad usare criteri e metodologie più complete, problematiche, aperte.
Va anche detto, tornando ai Dizionari, che la differenza che c'è tra di essi fa comprendere quanto sarebbe erroneo mettere sullo stesso piano, ad esempio, la Canonici Fachini, Comba, Greco, Villani, etc... Uno studio approfondito di tali manuali, come ormai si fa da tempo per le Storie letterarie, mostrerebbe con chiarezza infatti come essi rispecchino alla fine differenti mentalità, differenti modi di intendere la donna, di collocarla e di attribuirle dei ruoli. Ci sono manuali dove è calcato questo concetto di “eccezionalità” (in senso dunque negativo per le altre donne), manuali di difesa della propria presenza, manuali di attacco, manuali di “illuminata democraticità”, manuali di solidarietà femminile, manuali molto conservatori, etc... eppure tutti, come dicevo, oggi, in qualche modo, utili.
E c'è un'altra considerazione: queste donne delle quali si parla — più evidentemente altre ancora sconosciute — davvero erano eccezionali da tanti punti di vista. Eccezionali perché possedevano coraggio, intelligenza, cultura, privilegi, fortuna. Cioè in un mondo dove l'ignoranza femminile era scontata — e non solo come polo contrapposto alla cultura dominante — è già una eccezionalità che una donna riesca a studiare (e naturalmente si tratta, in prevalenza, di donne privilegiate dal punto di vista sociale e dunque aristocratiche che per di più abbiano la fortuna di avere un padre tanto sensibile e liberale da accondiscendere alle loro richieste di conoscenza) e che abbia il coraggio e l'intelligenza di mettere a profitto tale fortuna. Eppure ecco qualcosa che in parte mi contraddice e che dunque ancora di più stimola la ricerca: leggendo di tante donne — sempre nei famosi dizionari femminili — colte, intelligenti, che cantavano, dipingevano, ricamavano, scrivevano di tutto, conoscevano tre o quattro lingue, discutevano in latino tesi presso i dotti più accreditati della propria città, erano chiamate ad occupare cattedre universitarie, fondavano monasteri, scrivevano a uomini potenti, eccetera, viene il sospetto, la sensazione, che del tessuto culturale di una civiltà, soprattutto in tempi fatti di carestie, di guerre, di lotte, di intrighi, in tempi insomma in cui gli uomini erano occupati in mille cose nel pubblico-politico, nei tempi in cui per gli uomini la letteratura era in fondo “cosa da donne” (e quelli che ad essa si dedicavano erano artisti, per i quali essa non era un'occupazione, una professione, ma il suo esercizio abbisognava a priori di un “posto di lavoro”), queste donne ne abbiano mantenuto e portato avanti l'ordito reale e spesso la trama.
Per un discorso più tecnico sarà necessario spiegare i criteri che ho usato per l'inchiesta e per la composizione delle tabelle.
Sono qui prese in esame 382 scrittrici, le autrici cioè delle opere presenti nei Cataloghi prima citati: la casualità del campione non è dovuta solo alla presenza (o assenza) delle opere nella Biblioteca, ma anche — essendo stati presi in esame i primi secoli — al fatto che le loro opere sono state stampate entro i confini di questo periodo o successivamente.
Ripeto che, partendo dal Catalogo, ho preso in esame le autrici che figuravano in stampa, almeno con un sonetto, in quegli anni. Questa precisazione è necessaria, perché in molti casi opere di altre autrici (e anche di queste), appartenenti agli stessi secoli, solo successivamente verranno stampate, per cui queste opere non sono state prese in considerazione (e quindi neanche l'autrice). Figurano, invece, alcune autrici vissute prima dell'avvento della stampa: anche qui solo nei casi in cui la stampa delle loro opere sia avvenuta nei secoli presi in esame, e, ovviamente solo nei casi che dette opere siano presenti nei fondi della Biblioteca Nazionale di Napoli.
Per l'assegnazione di un'autrice a un secolo ho tenuto presente la data di nascita aggiungendo ad essa 15 anni. Mancando questa di volta in volta mi sono regolata o in base all'anno di morte o alla collocazione proposta dai Dizionari, o da notizie biografiche ri cavate altrove, o al tipo di produzione o, solo in pochi casi, all'anno della stampa delle opere e unicamente nei casi in cui fosse certa la contemporaneità della scrittura e della stampa.
Sec. | ? | n. | s. | n.n. | Tot. |
IV | 1 | 1 | |||
XIII | 1 | 1 | 2 | ||
XIV | 1 | 5 | 1 | 7 | |
XV | 1 | 5 | 5 | 1 | 12 |
Tot. | 4 | 10 | 7 | 1 | 22 |
La classificazione procede per secoli dunque. In quanto alle « categorie », esse si limitano a dividere le presenze tra nobili (n.), suore (s.), non nobili (n. n.) e quelle per le quali non è stato possibile l'inserimento in nessuna di queste categorie, mancando la specifica notizia: per brevità le chiamerò ignote (?).
Sono inoltre segnalate, quando è stato possibile accertarlo, le professioniste, cioè le donne che come lavoro svolgono attività intellettuale. Sul totale di 382, 20 sono assolutamente ignote, cioè per venti scrittrici non ho che ipotesi troppo vaghe per essere prese in considerazione.
Le motivazioni di questo tipo di classificazione mi sembrano chiare. La segnalazione che a scrivere sono innanzi tutto donne socialmente privilegiate (come accade tuttora anche se, ovviamente, si tratta di altre categorie) è scontata ma comunque significativa. E anche significativo è l'andamento della presenza delle non nobili. Ho voluto segnalare anche la presenza delle suore, condizione femminile frequente, forse qui non precisamente rappresentata. Di proposito ho escluso la categoria — che invece in un primo tempo avevo preso in considerazione — di cortigiane: perché l'ambiguità del termine e del significato tradizionalmente ad esso attribuito meriterebbe un discorso a parte.
E passiamo all'analisi delle tabelle.
Come si vede dalla Tab. 1, le opere a stampa di autrici vissute anteriormente a tale evento, sono 22. Al primo posto ci sono le nobili, seguono le suore, poi le ignote, ultime le non nobili seguono a distanza. Dunque nei primissimi secoli a scrivere sarebbero nobili o suore (e spesso i due stati coincidono). Vorrei inoltre far notare come le ignote siano relativamente poche rispetto al numero complessivo.
Con la Tab. 2 siamo nell'era della stampa, ma molte delle scrittrici che qui compaiono, pur appartenendo biograficamente a questo secolo, saranno stampate successivamente: l'esempio più significativo è dato dal gran numero delle poetesse presenti per la prima volta a stampa nella Raccolta del Bulifon9 o in quella della Bergalli10 (B).
Tabella 2
Sec. -, XVI ? . | n. | s. | n.n. | Tot. |
62 (B) | 5(B) | 1 (attr.) | ||
2 | 666 | 6 | 7 | |
Tot. 64 | 71 | 6 | 8 | 149 |
Conclusione: s. = 6. Tot. | n. = 71, 149 | ? = | 64, n.n. | = 8, |
Per il secolo XVI abbiamo 149 scrittrici: nobili, ignote, non nobili, suore. Cogliamo subito il grande stacco tra le prime due categorie (nobili e ignote) e le due restanti (non nobili e suore). Va segnalato che delle ignote ben 62 (su 64) sono poetesse appartenenti alle Raccolte successive ((B)u lifon - [B]ergalli): per queste dunque la rarefazione dell'immagine è spiegata dai secoli intercorsi tra produzione e riproduzione (a stampa). Molto probabilmente comunque furono nobili anche esse. Segnalo anche l'attrice (attr.), non nobile, che è una “professionista”.
Complessivamente dunque 149 donne, la maggior parte poetesse, operarono, per quanto limitatamente apprendiamo dal nostro Catalogo, nel '500 11, eppure, sempre riferendoci limitatamente al nostro Catalogo, noi possediamo opere stampate nel '500 di sole 10 donne: V. Colonna, T. D'Aragona, L. Terracina, G. Stampa, L. Battiterra, I. Cortese, I. Andreini, M. Campiglia, L. Strozzi e Angela da Foligno (che appartiene biograficamente al secolo XIII). Di queste 149 donne, ben 139, pur appartenendo biograficamente a questo secolo, solo più tardi o molto più tardi avranno l'onore della stampa: si pensi che l'Alberghetti, una suora, pubblica le opere spirituali solo negli ultimi anni della sua vita (nel 1650); che Isabella Andreini, attrice, in vita vede pubblicata solo una parte della sua produzione; tutto il resto avrà diritto alla stampa solo dopo il 1604; che anonime poetesse che scrivono nel '500 non sarebbero mai state conosciute (mai pubblicate) senza le Raccolte del Bulifon e soprattutto della Bergalli; che le opere di F. Baffa, M. Bertoli, L. Cibo dei Vitelli eccetera, tutte scrittrici note, lodate dal Quadrio, dal Crescimbeni e da altri, devono al caso o alla fortuna che appunto tali studiosi potessero conoscerle: in questo caso ancora all'opera di una scrittrice intelligente del '700 (Bergalli) e, in minore misura, di un non meno intelligente editore del '600 (Bulifon).
Il discorso dunque è quello del rapporto produzione-mercato e cioè stampa-lettori.
Le considerazioni fatte portano a pensare all'esistenza di qualche piccolo problema nel rapporto tra scrittura femminile - mercato editoriale.
Ora salta subito all'occhio che per il '500 le categorie di letterate-lavora-trici mancano (a parte l'attrice), che i cortigiani sono uomini che lavorano a corte, mentre sono ambiguamente chiamate “cortigiane” donne intellettuali, quasi sempre nobili, che non hanno però un posto di lavoro intellettuale riconosciuto, che i chierici sono tutta altra cosa dalle monache dal punto di vista istituzionale14, e che il corrispettivo di mercante, di uomo di legge, etc... non esiste a quel tempo al femminile, per lo meno non come professione.
E allora (ipotesi divertente e ovviamente astratta, ma che induce a riflessione) se eliminassimo anche per la produzione maschile tutte queste categorie (che per ragioni certamente complesse e non strettamente letterarie mancano al femminile) su quale produzione maschile potremmo contare? 15 Questo per dire che le strutture sociali, le mentalità, i ruoli sono una realtà che non si dovrebbe ignorare, neanche quando si fa “pura” critica letteraria ,6.
Tornando alla nostra « graduatoria », le nobili sono al primo posto nel '500. È un dato troppo ovvio per essere spiegato, ma è da sottolineare 17 che la fortuna e la tradizionale importanza attribuita alla produzione delle poetesse più note, variamente e ambiguamente appellate come « cortigiane » o vagamente come « petrarchiste » l8, è dovuta al fatto che esse erano maggiormente legate ai circuiti maschili.
Passiamo ora alla lab. 3. Il dato che colpisce immediatamente è il calo della produzione rispetto a quella del '500 (o, forse dovremmo dire: il nu-j mero minore di testi stampati nel '600/ attualmente in possesso della Biblio' teca Nazionale di Napoli) di ben 1/3. Ancora le nobili al primo posto seguite dalle ignote e in terza posizione, a « pari merito », non nobili e suore.
Notiamo anche che il divario tra le categorie si è assottigliato e che, se prescindiamo dalle poetesse delle Raccolte (B), in percentuale, il numero delle ignote è salito, infine che tra le non nobili abbiamo un numero più alto (e una più alta percentuale) di « professioniste » con diversa qualifica: una attrice, una pittrice, una insegnante.
Il '700 {Tab. 4) ci riserva più di una novità: il numero complessivo delle scrittrici è di nuovo salito, le ignote passano al primo posto, le non nobili si collocano al terzo posto, dopo le nobili, e il divario cresce di nuovo, staccando questa volta le sole suore, che hanno subito comunque solo una leggera flessione, e solo in percentuale.
Ciò che è particolarmente interessante, comunque, è notare che le professioniste sono decisamente aumentate e il ventaglio delle qualifiche si è ancora allargato: ci sono 4 insegnanti (una tra le nobili, le altre tra le non nobili), 2 scrittrici di professione (una nobile e una non nobile), 3 attrici, una giornalista, una pittrice, una ostetrica (tutte tra le non nobili).
Questi dati sono di grande interesse: Colaiacomo 19, occupandosi di scrittori nati tra il 1720 e il 1800, ci informa della poca professionalità degli scrittori, nel senso che comunque essi, per vivere, avevano bisogno di un lavoro principale anche a '800 avanzato, quando si afferma il diritto di autore. Ci mostra inoltre l'identità tra produttore e consumatore ancora a metà 700, ci dice che con il riformismo illuminato cresce il numero dei tecnici (che poi magari fanno anche gli scrittori) e che insieme nasce l'esigenza di creare un pubblico, cioè dei lettori che non siano tutto uno con gli scrittori.
Ora, se ancora fino al '700, in campo maschile, c'è identità tra produttore e consumatore, per le donne va fatta una considerazione necessaria: il numero complessivo delle donne in grado di consumare-produrre era ovviamente molto basso. La situazione dell'istruzione in generale era assolutamente deficitaria e precaria, quella per le donne era addirittura grottesca 20. Inoltre per esse non c'era richiesta espressa di lavoro intellettuale. Dunque le donne colte, come già rilevato prima, erano solo quelle che, nobili, avevano per di più un padre tanto sensibile da fornire un buon precettore. Queste privilegiate, scrivevano: fin qui coincide il dato di identità tra produttore e consumatore. Ma evidentemente un pubblico composto esclusivamente dalle altre (poche) donne, non era certo sufficiente per il mercato editoriale, cosicché è evidente che anche per le donne il pubblico era in gran parte maschile e questo dato è importante per intendere lo sforzo per lo meno formale, da parte di tante scrittrici, di adeguamento ai canoni dominanti. Questa considerazione è da ricordare quando cercheremo di capire il senso della scrittura femminile (nell'epoca della stampa — e il motivo della sua cancellazione dalla memoria culturale cosciente di una civiltà).
Ma ecco che nel '700, al di là delle richieste di mercato, si va affermando tra le donne l'attività intellettuale come lavoro e ovviamente non è un caso che siano le non nobili a offrire, in questo, presenza significativa. E con non nobili mi riferisco sia alla figlia della ricca borghesia intellettuale e illuminata e sia alle donne dotate di fascino e di intelligenza che seppero attraverso inimmaginabili difficoltà, accedere al mondo della professione intellettuale.
Nella Tab. 5 sono raccolti i dati che riguardano il sec. XIX, ovviamente parziali perché il Catalogo per ora si ferma al 1860, e dunque la presenza di 62 autrici va intesa come tendenza alla .crescita.
Le ignote e le nobili al primo posto. È un dato da considerare attentamente. Se le ignote delle tabelle precedenti si riferivano presumibilmente, per la maggior parte, a donne nobili che si dilettavano a scrivere poesie e che avevano comunque un ruolo intellettuale a corte o nei salotti e, se si trovavano al primo posto nelle tabelle precedenti, ciò era dovuto al prevalere in questo dato di appartenenti alle Raccolte di poesie, qui si tratta di autrici non di un sonetto raccolto e pubblicato dopo secoli, ma di autrici contemporanee alle edizioni di un volume. E dunque, al contrario di quanto si possa intendere con una rapida scorsa ai dati, che cioè le nobili abbiano raggiunto le ignote, e che quindi, in proporzione, il numero di autrici di cui si possiede scarsa notizia sono diminuite, al contrario esse sono aumentate, e di molto.
Se non si tengono presenti le Raccolte del Bulifon e della Bergalli, infatti, il numero delle ignote per il '500 è 2, per il '600 è 5, per il 700 è 9, e per l'800 è 21.
Quali ipotesi avanzare per questo silenzio crescente? Che nei primi secoli le donne scrittrici appartengono a famiglie notabili e dunque la loro presenza intellettuale ha maggiore evidenza? Che diminuisce l'attenzione alla scrittura femminile? Che la puntigliosità del dibattito tra il maschile e il femminile così vivo nel '500 si è andato illanguidendo? Che il ruolo della donna è stato fissato con maggior rigore all'alba del secolo della Restaurazione? Certo è, come già sottolineato prima, che nelle Storie letterarie, dall'Unità, le donne sono praticamente scomparse. Si confrontino da una parte Quadrio e Crescimbeni e Tiraboschi e dall'altra De Sanctis.
Sta di fatto che accanto a questo dato di silenzio ce n'è un altro: che aumenta il numero delle professioniste. Tra le ignote ci sono 3 scrittrici, le non nobili contano 3 insegnanti, una pittrice, una ostetrica, 2 scrittori, 2 improvvisatrici-attrici. E ce n'è anche un altro di certo significato: le suore sono state distaccate e di molto, e certo non perché sia diminuito il loro numero. Forse perché anche in questo la censura si è fatta più feroce? O forse perché il compito della censura è stato portato a termine, su questo fronte, con il migliore dei risultati: quello dell'autocensura mortificante e netta. L'alta percentuale della produzione ecclesiastica di cui parla Quondam, non l'abbiamo ritrovata (fatte sempre le dovute distinzioni) nel Catalogo per il '500; ma nel '600 e nel '700 abbiamo notato un lieve aumento di libri a stampa: c'è un legame con una qualche coscienza da parte delle donne di quanto fossero forzate le monacazioni, di quanto fosse ingiusto il sistema ereditario? Forse no, tranne alcuni casi21. Ma io credo che l'elemento importante consistesse già solo nel loro scrivere, perché in esso c'era il rifiuto dell'anonimato, della segregazione, c'era la volontà dell'affermazione individuale, l'eversione, la rottura delle regole, anche quando scrivevano regole. Su questa ribellione sottesa, agì certamente l'influenza da parte delle strutture ecclesiastiche e cioè la censura, in forma diretta o come sottile persuasione come manovra di promozione censurante da parte dei « padri spirituali ».
Questo potrebbe spiegare il « calo » della posizione delle suore nell'800.
Questa ipotesi può essere allargata, in certo senso, alla vicenda di tutta la produzione femminile. Tra 700 e '800 c'è indubbiamente un incremento della produzione femminile a stampa, ma la ricchezza e la vivacità, l'impegno che c'è in molte opere dei secoli passati, incluso il 700, non aumenta proporzionalmente.
Qui il discorso si allarga molto e investe, a mio avviso, il rapporto produzione femminile-stampa-mercato. Se non è possibile in questa sede seguire tutto il discorso e le sue diramazioni e quindi se non è possibile formulare delle analisi — a meno che non si tratti di analisi “degne di fede”, il che vuol dire, a leggere bene, astratte e precostituite, dato che la fede non interessa e la degnità è anche essa tutta da dimostrare — posso comunque avanzare delle ipotesi (dichiaratamente mie e dunque di parte) sulle quali è mia intenzione ritornare in altra sede.
L'ipotesi parte intanto da una considerazione apparentemente ovvia: che cioè una cosa è la scrittura, altra è la stampa, e dunque quando parliamo di « produzione » non dovremmo confondere questi due fenomeni. Cioè quando si parla di « produzione femminile » generalmente si fa riferimento alla stampa di tale produzione, ma abbiamo verificato come, prendo ad esempio il '500, se ci riferiamo unicamente ai testi stampati in quel secolo noi possediamo opere di 10 donne (e dunque qualcuno potrebbe concludere che di scrittrici, nel '500, ce ne fossero 10), ma se ci riferiamo alle opere di donne nel '500 (stampate successivamente ma fino al 1860) vediamo che il numero sale per lo meno a 149. Allora mi viene di pensare che uno dei nodi del problema sia appunto quello del rapporto scritturastampa e che esso nell'800 muta profondamente, offrendo, come tutti i fenomeni, una doppia lettura, perché effettivamente al suo interno nutre una dialettica di enorme interesse. La vita intellettuale nel '500 (e fino al 700 anche se in modo diverso) si svolge in gran parte in centri culturali (la corte, i salotti) dove la conoscenza e lo scambio sono enormemente facilitati: anche da qui viene l'identità tra produttore e consumatore, perché in certo senso è più facile avere punti di riferimento con i quali misurarsi, stimoli ai quali dare ascolto. Così le donne che avevano contatto con questo mondo in certo senso esprimevano la loro inclinazione ed esistevano, nome
e cognome diremmo, per i contemporanei, i quali a loro volta contribuivano a tramandarne la memoria.
Con l'affermazione della stampa, o meglio con l'industrializzazione della stampa, il rapporto produttore-consumatore si fa molto più distante e si riveste di anonimato. La scrittura, da sempre coltivata con naturalezza dalle donne (privilegiate) non è più, in sé, attestazione di produzione culturale: al suo posto, assurdamente, interviene la stampa. Cioè “fa testo” solo il testo stampato, che segue, ovviamente, leggi imposte dal mercato. Le donne, dunque, riguardo la produzione letteraria, vengono spiazzate e la loro scrittura sempre più privata.
Se insomma fino alla fine del 700 — mi si perdoni l'inevitabile schematizzazione — l'uso della scrittura è il veicolo più diretto e ovvio dell'impegno intellettuale, a volte in certo senso incosciente, io credo che tra 700 e '800 le donne comincino a comprendere (o forse ad usare questa comprensione magari precedente) che la scrittura va stampata per, assurdamente, essere tale, che la stampa è potere, è veicolo e formazione di mentalità, che o si materializza la memoria oppure essa andrà perduta, che insomma la stampa raccoglie la cultura, anzi è la cultura (secondo la convinzione della cultura dominante).
Insomma la rivoluzione della stampa sì è compiuta, le sue implicazioni sociali e culturali sono ormai giunte sino alla loro completa esplicitazione. Escarpit, Febure (per limitarsi nelle citazioni) hanno detto da tempo queste cose, riferendosi a concetti generali. Nel libro si raccoglie la memoria, spesso deformandola, come oggi nei computers si va raccogliendo, alterandosi, quella che sarà in futuro La cultura. Alterandosi o trasformandosi semplicemente. Tutto il mondo dei gesti, delle parole, delle conoscenze, delle tradizioni, delle intuizioni, se non diverrà scrittura a stampa sarà perduto: è il sentimento borghese della cultura e della storia che le donne di fatto scoprono, quello dell'utile.
“Una qualche donna che per irresistibile vocazione o per gioco o per disperazione scriva, si può sempre trovare”. Così scrive Dionisotti22, con dichiarato sessismo23 e naturalmente dimentica o non sa che le donne hanno scritto (e scrivono) più o meno per gli stessi motivi che spingono “un qualche uomo”, e che il loro piacere della scrittura è, di fatto, tanto più puro in quanto per lo più questa scrittura è rimasta privata; ma appunto, solo tra '700 e '800 le donne scoprono che è utile scrivere, farsi sentire, comunicare e che i destinatari sono lontani e li si può raggiungere unicamente entrando nella grande industria editoriale.
In questo senso, se proprio volessimo anticipare una definizione che sarebbe meglio non usare per ora24, intendo quella di cultura femminile, in questo senso, dico, la cultura femminile dové sentirsi minacciata e dové decidersi a usare strumenti che non erano suoi direttamente, anche se poi lo diverranno. La scrittura a stampa assicura memoria e identità: così tutte quelle che potettero, scrissero, e cioè le aristocratiche (ma non solo loro) e non tanto (come afferma Colaiacomo riferendosi agli aristocratici2s) alla ricerca della propria identità, ma, credo, per memorizzare in qualche modo la propria presenza. Scritti di filosofia pratica, di morale, biografie, scritti sulla problematica femminile (si ricordi che questa è ormai l'epoca dell'origine del movimento femminile in Italia26), scritti di storia, di impegno politico, di critica letteraria (compresa una Storia della letteratura), scritti sull'educazione, consigli comportamentali, programmi di scuole, eccetera, oltre romanzi, racconti, poesie, scritti teatrali...
In conclusione: la scrittura femminile, e, in modo diverso, la stampa di opere femminili sono di per sé contro la regola21.
Contro la regola anche se poi spesso servono a creare « regole ». Un esempio: in molti scritti ora serpeggia, ora è dichiarato apertamente, che l'educazione delle donne deve cambiare, perché è proprio essa che determina i “difetti” dei quali esse poi sono accusate. Come è avvenuto in precedenza per le suore che, motivate in primo luogo dalla propria volontà di esistere, sono state poi chiamate a testimoniare di fatto e a dare dignità e parvenza di libera scelta al loro destino (snaturando così i motivi della scelta eversiva, quella di parlare) così, a contenere, a dirigere, a sviare in qualche modo l'attenzione delle donne scrittrici c'è l'operazione che viene fatta sottilmente proprio partendo dalle loro rivendicazioni28.
Così, il concetto e la rivendicazione per una diversa educazione sarà collegato ai primi dell'800 dalle stesse donne proprio a quel ruolo di cui si diceva prima: se saranno bene educate, le donne potranno bene educare i propri figli, potranno svolgere mansioni delicate all'interno della famiglia, potranno essere degne e pazienti compagne dell'uomo, insomma potranno degnamente e utilmente sostituire i servizi sociali (e annullarne i costi).
Il cerchio si è chiuso e, messo in crisi continuamente, solo in anni recenti subirà un taglio profondo, per es. con la provocatoria richiesta del salario alle casalinghe, taglio che non è facile — con tutto il riflusso che si vuole — ricucire.
Anna Santoro
1 Mi riferisco alla prima parte del lavoro: la ricerca, portata avanti, grazie anche ad un contributo C.N.R., da Francesca Veglione e da chi scrive, è ancora in atto, avendo come programma la catalogazione di tutti i testi femminili a stampa presenti nei fondi librari della Biblioteca Nazionale di Napoli. Essa comprende Catalogo alfabetico, Catalogo a soggetto, Indice cronologico, più alcuni tabulati. È in corso di stampa la prima parte di tale lavoro, appunto dalle origini della stampa al 1860.
2 Tale presentazione, in data 10 febbraio 1984, presso la Biblioteca Nazionale, ha visto anche l'apertura di un dibattito su « Storia dei rapporti tra cultura femminile, stampa e mercato », aperto da Giancarlo Mazzacurati, Francesca Veglione e da chi scrive.
3 È evidente che delle opere composte in età precedente alla stampa, sono qui rappresentate, come sarà detto poi, solo quelle che vennero pubblicate fino al 1860 e che si trovano a tutt'oggi appunto nella Biblioteca Nazionale.
4 I Dizionari biografici che si sono tenuti in maggior conto sono: Ginevra Canonici-Fachini, Prospetto biografico delle donne italiane rinomate in letteratura del sec. XIV fino ai nostri giorni, Venezia 1824; A. Levati, Dizionario biografico cronologico diviso per classi, degli uomini illustri. Classe V Donne illustri, I, Milano 1821; Anonimo, Delle donne illustri italiane dal XIII al XIX secolo, Roma [s.d.]; E. Camerini, Donne illustri [Biografie], Milano 1871; E. Comba, Donne illustri italiane proposte ad esempio alle giovanette [Biografie], Torino 1872; A. Verona, Le donne illustri d'Italia, Milano 1864; Enciclopedia Biografica e bibliografica italiana, s. VI, Poetesse e scrittrici, I-II, a cura di Maria Bandini Buti, Roma 1941-1942 (La serie VII [Eroine e donne d'eccezione] è di scarsa utilità per il presente discorso); C. Villani, Stelle femminili, Napoli 1913; Castreca-Brunetti, Aggiunte..., Roma 1844; O. Greco, Bibliografia femminile italiana del XIX secolo, Venezia 1875.
Tralascio di indicare altri testi consultati perché mi sono stati di scarsa utilità, come di poca o nulla lo sono stati i Dizionari, diciamo generali, tipo: Dizionario letterario Bompiani; Dizionario enciclopedico UTET; etc. e segnalo invece: Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1960 (che, in corso di pubblicazione, è giunto finora, come è noto, solo alla lettera C). In Luisa Bergalli (Componimenti poetici delle più illustri rimatrici di ogni secolo raccolti da L. Bergalli, Venezia 1726) e in Jolanda De Blasi (Antologia delle scrittrici italiane, Firenze 1930) notizie utili ma qualche volta poco esatte e di seconda mano, spesso riprese dalle Storie del Quadrio, del Crescimbeni, del Mazzucchelli, del Tiraboschi, consultate da me solo occasionalmente. Ancora utili notizie, per lo meno a conferma di quanto già avevo trovato, in G. Natali, Il Settecento, Milano 1960 e nei noti Appunti di letteratura seicentesca di B. Croce. L'elenco potrebbe continuare, ma rimando, per una bibliografia completa ad un altro lavoro in corso di preparazione.
5 Cfr. ad esempio Ginevra Conti Oderi-sio (Donna e società nel '600, Roma 1979) la quale, comunque, a questo proposito fa un discorso molto interessante e un'analisi, anche se veloce, persuasiva.
6 Crescimbeni intitola Istoria della volgar poesia la sua opera che però in effetti è una raccolta cronologica e non si propone un « discorso storico », nel senso moderno. Cfr. G. Getto, Storia delle storie letterarie, Firenze 1969.
7 Cfr. le celebri pagine di La scuola liberale.
8 G. Conti Oderisio, op. cit., p. 28.
9 Rime di cinquanta illustri poetesse di nuovo date in luce da A. Bulifon, Napoli 1695.
10 L. Bergalli, op. cit.
11 C. Dionisotti (La letteratura italiana nell'età del Concilio di Trento, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino 1967, pp. 191-192) giustamente collega la fioritura della letteratura femminile con la “larghissima apertura linguistica di quegli anni”. Ma qualche rigo più su, Dionisotti, più che della letteratura femminile ha trattato e preso in considerazione unicamente alcune opere a stampa dell'epoca, per cu» le considerazioni che fa circa la periodiz-zazione di tale fioritura (1540-60) vanno, a mio avviso, riferite più che alla produzione femminile, al mercato della produzione femminile, cioè alle leggi che già da allora decidevano sulla opportunità o meno di stampare una produzione letteraria (ma si legga più avanti, a questo proposito). Inoltre Dionisotti afferma: «Al di là del 1560 si ha soltanto qualche ristampa di un discorso di Laura Terracina sul poema dell'Ariosto, sopravvivenza evidentemente dovuta alla popolarità del tema ariostesco. Al di là del 1560 dunque la scena cambia: quel gruppo cospicuo, in cui si erano trovate editorialmente insieme scrittrici di generazioni diverse, scompare, né altro si compone a prenderne il posto ». Le considerazioni che lo studioso fa devono dunque intendersi riferite limitatamente alla presenza editoriale della scrittura femminile, alla quale comunque — ci suggerisce il nostro catalogo — vanno aggiunte almeno le Rime di Laura Terracina (Napoli 1561 e Venezia 1565 [ol--tre il Discorso del 1564]); Laura Battiferri, I sette salmi penitenziali [...], Fiorenza 1570; Isabella Andreini, Mirtilla, •Verona 1588; Maddalena Campiglia, Fiori, 1588, oltre scritture sacre. Stupisce inoltre il fatto che Dionisotti (il quale scrive che « i motivi sociali e morali sempre devono essere ..tenuti in conto, ma in letteratura occorrono anzitutto motivi letterari» [p. 192]), asserisca, con tono polemico e in contrasto con la sua consueta finezza: «Una qualche donna che per irresistibile vocazione o per gioco o per disperazione scriva, si può sempre trovare» (p. 191); come infastidisce il ricorrere a desuete etichette di sapore moralistico-cattolico, oltre che estranee, come egli stesso altrove afferma, all'esercizio della critica letteraria, quando, riferendosi alle poetesse Tullia D'Aragona e Veronica Franco, con naturalezza definisce la prima « famosa cortigiana » e la seconda « non meno famosa e anche più famigerata cortigiana » (p. 192). Tanto più che la citazione in questi termini delle due poetesse non fa che avvalorare la tesi che Dionisotti cerca di contrastare, a proposito del « silenzio » successivo al 1560 (« Forse qualcuno avrà pensato o penserà a reazione morale, al concilio per l'appunto e alla Controriforma, a una reclusione quaresimale delle povere donne dopo il carnevale profano del Rinascimento »).
12 Cfr. Ch. Bec, Lo statuto socio-professionale degli scrittori (Trecento e Cinquecento), in AA.VV., Letteratura italiana, II, Torino 1983, pp. 229-267.
13 A. Quondam, La letteratura in tipografia, in AA.VV., Letteratura italiana cit., pp. 555-686.
14 Sarebbe da approfondire la differenza istituzionale tra ordini religiosi maschili e quelli femminili.
15 Cfr. De Caprio, op. cit., p. 303.
16 Cfr. C. Dionisotti, op. cit.
17 Scrive V. De Caprio: « [...] l'importanza tradizionalmente attribuita alle letterate cortigiane si spiegherebbe con la loro più agevole inserzione in un circuito letterario condizionato dall'elemento maschile, rispetto per esempio alle letterate monache il cui apporto alla letteratura, almeno dal nostro limitato campione, appare molto più consistente sul piano quantitativo » (Dalla crisi dell'Umanesimo alla Controriforma, in AA.VV., Letteratura italiana cit., p. 304).
18 Su quanto siano da mettere in discussione termini e concetti di « cortigiana » e di « petrarchista », è in preparazione un altro mio lavoro.
19 Cfr. C. Colaiacomo, Crisi dell'mcìtn regime: dall'uomo di lettere al letterato borghese, in AA.VV., Letteratura italiana, cit., pp. 363-412.
20 Risulta ancora utile consultare, unicamente per quel che riguarda il Meridione, per la ricchezza di notizie: A. Zazo, L'istruzione pubblica e privata nel napoletano, 1767-1860, Città di Castello 1927; A. Illibato-I. Sgherzi, Note e appunti per una storia dell'istruzione a Napoli nel Settecento, Salerno 1979; D. Dente, Ver una storia della condizione femminile nel Regno di Napoli, Napoli 1979.
21 Valga per tutte l'esempio di Arcangela Tarabotti. Su di lei cfr. l'ottimo lavoro della Conti Odorisio già citato.
22 Cfr. n. 10.
23 Uso con fastidio questo termine, ma quale altro potrei usare, visto che se Dionisotti avesse scritto: « Un qualche negro (o un qualche ebreo, un qualche meridionale, ...) si può sempre trovare », chiunque avrebbe usato il termine « razzismo »?
24 Non usarla e per non urtare la sensibilità di chi si proclama « imparziale », e soprattutto (urtare certe sensibilità è inevitabile e spesso giusto) perché effettivamente è troppo presto, per quel che mi interessa.
25 C. Colaiacomo, op. cit.
26 Cfr. per lo meno F. Pieroni Bortolotti, Alle origini del movimento femminile in Italia (1848-1892), [1963], Tori-
no 1975.
27Si ricordi che è proprio nell'800 che il ruolo della donna, e cioè il suo ruolo all'interno della famiglia, è con maggiore puntigliosità e terrorismo fissato da Stato e Chiesa. Ovviamente qui non intendo fermarmi né sulla legittimità di tale ruolo (angelo del focolare, madre tenerissima, devota compagna, gentil sesso, sesso debole bisognoso di protezione....) né tanto meno sull'ipocrisia di chi tale ruolo esalta nello stesso momento in cui disinvoltamente si serve delle lavoratrici che continuano ad essere produttrici materiali, base soffocata di rivoluzioni economiche, protagoniste della rivoluzione industriale, sfruttate due volte, come donne e come proletarie.
28 Su questo M. Rosaria Manieri (Donna e famiglia nella filosofia dell'800), ha colto bene lo spirito antifemminile dell'ideologia borghese non solo in autori dichiaratamente conservatori, ma anche in quelli così detti illuminati.